Rapporto tra giudizio civile risarcitorio e azione penale
Un fatto produttivo di danno può rivestire una duplice valenza, in quanto può costituire, allo stesso tempo, sia un illecito civile che un illecito penale. Tale duplice valenza, innesca la problematica del rapporto tra il giudizio risarcitorio civile ed il processo penale.
La soluzione alla problematica può essere diversa a seconda che un ordinamento sposi l'indirizzo di stampo francese -della prevalenza del giudicato penale sul processo civile- ovvero preferisca il modello anglo americano -dell'assoluta indipendenza dei due differenti processi-.
Per quanto riguarda l'orientamento del nostro sistema, il codice di procedura penale del 1930 era rigorosamente rivolto verso lo schema francese, avendo come principi informatori quello della unitarietà della giurisdizione, quello della preminenza del giudizio penale sul giudizio civile e quello dell'efficacia erga omnes della sentenza penale. In particolare, il principio dell'unità della giurisdizione rappresentava il cardine dell'intero sistema: il diritto ha lo scopo di dare certezza ai rapporti giuridici, per cui il bisogno di Giustizia non può essere soddisfatto da pronunce tra loro confliggenti, come nell'ipotesi in cui per il medesimo fatto un soggetto venga assolto dal giudice penale e invece condannato da quello civile. Pertanto, lo ius dicere, la giurisdizione, deve essere unica, perché unica, e non duplice, deve essere la Giustizia.
Il nuovo codice di procedura penale del 1988, anche influenzato dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale che avevano minato nel corso degli anni il principio dell'unità della giurisdizione, non si è fatto carico di queste preoccupazioni, e ha aperto la strada alla possibilità che il giudizio penale e quello civile scorrano su due binari paralleli, concludendosi con giudicati contraddittori. La norma fondamentale della nuova disciplina relativa al rapporto tra giudizio civile e azione penale è stata introdotta attraverso l'art. 75 c.p.p., che sostanzialmente prevede tre ipotesi:
1. L'azione proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fin tanto che in sede civile non sia stata pronunciata una sentenza di merito, anche non passata in giudicato; tale trasferimento comporta la rinuncia agli atti del giudizio civile
2. L'azione civile può proseguire in sede civile, se non viene trasferita in sede penale, ovvero se è iniziata quando non è più possibile la costituzione di parte civile
3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il giudizio civile deve essere sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva.
Lo schema legislativo è stato poi completato con le norme di cui agli artt. 651, 652 e 654 c.p.p. che regolano l'efficacia della sentenza penale pronunciata a seguito di dibattimento. In particolare, per quanto riguarda il giudizio risarcitorio, gli artt. 651 e 652 c.p.p. introducono la possibilità di giungere a giudicati contraddittori, in quanto, ex art. 75 c.p.p., il giudizio civile e quello penale possono scorrere su due binari paralleli, ignorandosi vicendevolmente. Posto che, infatti, l'art. 651 c.p.p. stabilisce che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio risarcitorio pendente nei confronti del condannato e del responsabile civile citato o intervenuto nel processo penale, l'art. 652 c.p.p. ci dice che questa espansione del giudicato non opera quando il giudizio penale si concluda, non con una sentenza di condanna, ma di assoluzione, e il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile ai sensi dell'art. 75 II co. c.p.p. In questo secondo caso, quindi, la nuova disciplina permette al giudice civile di non essere vincolato dalla sentenza assolutoria pronunciata dal giudice penale.
Il sistema del doppio binario introdotto dalla nuova normativa, quindi, è andato a minare il principio dell'unità della giurisdizione che aveva permeato il nostro ordinamento. Il precedente codice evitava la possibilità di giudicati contraddittori anche attraverso il sistema della sospensione per pregiudizialità di uno dei due processi. Così, l'art. 295 c.p.c. prevedeva la sospensione necessaria del processo civile quando la sua decisione potesse essere influenzata dall'esito del processo penale. Il riformulato art. 295 c.p.c., invece, come risultante dalla novella introdotta nel 1990, dispone che il giudice sospenda il processo in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui decisione dipende la decisione della causa. La legge, pertanto, non fa più espresso riferimento alla pregiudiziale penale, col rimando all'art. 3 del vecchio codice di procedura penale, nonché alcun riferimento circa la natura civile o amministrativa della questione pregiudiziale, ma preferisce l'utilizzo di una formula onnicomprensiva.
In tale situazione normativa, quindi, tenuto conto che la pregiudizialità sussiste quando la risoluzione della controversia dalla quale dipende la soluzione della causa costituisce un vero e proprio antecedente logico giuridico per l'emananda sentenza, la sospensione necessaria del procedimento riguarda ipotesi residuali. In particolare, tenendo conto della ridotta influenza del giudicato penale nel giudizio civile, le situazioni di pregiudizialità si profilano limitatamente alle ipotesi espresse nel primo e nel terzo comma dell'art. 75 c.p.p. La sospensione necessaria deve essere quindi disposta quando sia già avvenuta la costituzione di parte civile nel processo penale, ovvero se la parte danneggiata attende di promuovere l'azione in sede civile dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado non passata in giudicato. Nel caso in cui, invece, l'azione civile venga esercitata in maniera autonoma ai sensi dell'art 75 II co. c.p.p., non si profila una vera e propria pregiudizialità, in quanto il giudizio civile è influenzabile da quello penale unicamente ai sensi dell'art. 651 c.p.p.
Se, pertanto, la sospensione necessaria del processo civile occupa oramai una posizione residuale nel rinnovato sistema, è pur vero che, secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinario, sussisterebbe comunque la possibilità per il giudice di applicare l'istituto della sospensione "facoltativa" del giudizio. E’ stato sottolineato che, non solo il giudizio civile può pur sempre essere influenzato da quello penale ai sensi dell'art. 651 c.p.p in caso di sentenza penale irrevocabile di condanna, ma anche che alcune fattispecie concrete possono presentare caratteristiche tali da rendere opportuna una sospensione del giudizio. Nonostante le modifiche apportate al processo penale e a quello civile, sono immutate le ragioni di fondo che legittimano e giustificano la sospensione del processo, proprio per evitare quella contraddittorietà di giudicati che vanno a minare l'essenza stessa della Giustizia; ragioni di fondo che d'altronde sono richiamate dall'art. 211 delle norme di attuazione e di coordinamento del vigente codice di procedura penale, ispirato alla finalità di prevenire contraddittorietà di giudicati. Numerose sentenze della Suprema Corte (Cassazione civile sez. II, 4 aprile 1997, n. 2905; Cass. Civ. sez. Unite, 19.02.97; Cass. Civ. 18.01.85 n. 129; Cass. Civ. 06.02.82 n. 707) hanno quindi sottolineato, da una parte che la sospensione del giudizio civile ex art. 295 c.p.c. e' necessaria solo quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa pendente davanti allo stesso o ad altro giudice sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato; dall'altra che, al di fuori di questi presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi obbligatoria, ma il disporla o meno rientra pur sempre nel potere discrezionale del giudice di merito, potere insindacabile in sede di legittimità.
Dopo alcune oscillazioni, va però sottolineato che la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che non vi è alcuno spazio per una sospensione «facoltativa» o «discrezionale» del processo, dovendosi escludere che il processo civile possa essere sospeso dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale. L'inammissibilità di una sospensione ope iudicis, fondata sulla discrezionalità del giudice di merito, comporta che è sempre impugnabile, ai sensi dell'articolo 42 del Cpc, ogni sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege, non essendo ipotizzabile un tertium genus di sospensione oltre agli istituti della sospensione necessaria e di quella su istanza di parte (in tal senso, Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 1 ottobre 2003 n. 14670; Cassazione, ordinanza 25 luglio 2003 n. 11567; Cassazione, ordinanza 24 novembre 2006 n. 24946).
Con l’ordinanza del 28 gennaio 2005, n. 1813 la Suprema Corte ha così riassunto i termini della problematica: a) la sospensione c. d. facoltativa o discrezionale, non prevista dal codice di rito, ma ammessa dalla giurisprudenza (e da parte della dottrina) trovava il suo presupposto nella generale non autonoma impugnabilità, evidenziata anche dal provvedimento impugnato, delle ordinanze di sospensione, perciò incluse nel generale potare discrezionale del giudice di merito; b) la revisione degli artt. 295 e 42 c.p.c. ha mutato la disciplina della materia: che oggi muove dal presupposto che la sospensione si risolve in un diniego sia pure temporaneo di giustizia, perciò applicabile nei soli casi ed alle condizioni previsti dalla legge (art. 295 e 337 c.p.c., 75, 3° comma c.p.p.); di talché l'adozione di detto provvedimento al di fuori di queste ipotesi è impugnabile con il ricorso per regolamento di competenza, significativamente introdotto dal nuovo testo dell'art. 42 contro i soli provvedimenti che dichiarano la sospensione ai sensi dell'art. 295 e non anche di quelli che la negano; c) la nuova disciplina è, d'altra parte, ispirata all'abbandono dell'istituto della sospensione obbligatoria a favore di quello dell'autonomia di ciascun processo (perfino in relazione al nesso di pregiudizialità penale) e della piena cognizione da parte di ogni giudice delle questioni giuridiche di fatto rilevanti per la propria decisione; ed il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo è sottolineato anche dalla Corte Costituzionale, per cui detto istituto ormai si pone in contrasto sia con il canone della durata ragionevole del processo che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi dell'art. 111 Costit., come modificato dalla legge costituzionale 3 del 2001, sia con l'analogo principio enunciato dall'art. 6 della Convenzione CEDU, da cui è derivata la recente L. 89 del 2001 in tema di durata irragionevole del processo; d) una volta esclusa la possibilità di sospensione facoltativa ope iudicis del giudizio, ne deriva come logico corollario la impugnabilità ai sensi del ricordato art. 42 di ogni provvedimento di sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogniqualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege.
Con ordinanza del 16 dicembre 2009 n. 26433, la Suprema Corte ha ribadito questo orientamento, sottolineando che nel quadro della disciplina di cui all'art 42 cod. proc. civ. - come novellato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353 - non vi e' piu' spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facolta' di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale: “ ove ammessa, infatti, una tale facolta' - oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato articolo 42 c.p.c. - si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (articolo 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (articolo 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo articolo 111 Cost.. Dalla esclusione della configurabilita' di una sospensione facoltativa ope iudicis del giudizio, deriva sistematicamente, come logico corollario, la impugnabilita', ai sensi dell'articolo 42 cod. proc. civ., di ogni sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege.”
Può attualmente dirsi confermato, dunque, che il rapporto tra giudizio civile e processo penale è improntato ai principi di autonomia e separazione, prevedendosi, come regola generale, che il primo possa essere sospeso per la pendenza del secondo solo alle condizioni previste dall’art. 75, III co. c.p.p. (giurisprudenza condolidata, v., tra le altre, Cass. 15470/2018).
Va peraltro segnalato che la Suprema Corte ha riconosciuto che esiste una “residua area di pregiudizialità penale, che conduce alla necessità di sospendere il processo civile finché quello penale non sia definitivamente terminato, in base a quanto dispongono gli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto di giudizio sul processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale” (Cass. ord. n. 18918 del 15.7.2019).
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