La responsabilità del mediatore
LA RESPONSABILITA’ DEL MEDIATORE: L’OBBLIGO DI INFORMAZIONE EX ART. 1759 I CO. C.C.
L’art. 1759 C.C. stabilisce al primo comma che il mediatore ha l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
L’opinione prevalente coglie nella disposizione in esame un’applicazione del principio della buona fede oggettiva; quella minoritaria, invece, la manifestazione del più ampio obbligo del mediatore all’imparzialità.
Quale che sia l’opinione che si voglia abbracciare, sul piano operazionale poco cambia: la violazione dell’obbligo determina in capo al mediatore il sorgere di una responsabilità contrattuale e conseguentemente il suo dovere di risarcire il danno subito dal contraente non informato.
AMBITO DI APPLICAZIONE
L’ambito di operatività dell’obbligo, cioè quelle circostanze relative alla valutazione e sicurezza dell’affare che sono state ritenute influenti dalla prassi giurisprudenziale, è variegato.
Innanzitutto, vengono in rilievo quelle circostanze relative all’identità e alla qualità delle parti contraenti (Cass. 14.07.51, n.1974 in Rep. Foro It. 1951,36). Così, ad esempio, la Pretura di Genova, in una sua sentenza del 11.01.1994 (in Il Foro Padano, 1994, I,111) ha statuito che il mediatore deve accertare le effettive generalità delle parti, trattenendo copia del documento di identità ed acquisendo il certificato di residenza.
Altra circostanza estremamente importante nelle relazioni commerciali, e tenuta quindi nel debito conto dalla giurisprudenza, è quella relativa alla solvibilità e solidità finanziaria delle parti contraenti. Il mediatore è pertanto ritenuto responsabile se non comunica ad uno dei contraenti l’eventuale stato di insolvenza, a lui noto, in cui l’altro si trovasse, o fornendo in merito false informazioni (Trib. Genova 29.01.92 in Diritto Marittimo, 1993,1110; Trib. Como 07.08.89 in Giustizia Civile, 1989, I, 2466).
Ancora, si è ritenuto responsabile il mediatore nel caso abbia taciuto al compratore l’esistenza di circostanze o di vizi della cosa venduta che ne diminuivano il libero godimento e il valore (ad es. esistenza di un privilegio sull’autoveicolo acquistato, abusi edilizi dell’immobile, mancanza dell’abitabilità, dell’inedificabilità etc.) Vedi Cass. 09.04.84., n. 2277, Rep. Foro It., 1984,15; Cass. 21.09.88 n. 5183 in Rep. Foro it., 1988, 4; Cass. 03.06.93, n. 6219 in Resp. Civ. Prev. 1994, 467; Cass. 08.05.2012 n. 6926/2012).
Più di recente, con una massima della Suprema Corte si è affermato che “una responsabilita' del mediatore, può porsi, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico.” (Cass. 21 febbraio 2017, n. 4415). Nel caso di specie si trattava di una mancata informazione circa la conseguibilità del certificato di abitabilità.
In ogni caso, l’ampiezza del dettato legislativo per quanto concerne l’oggetto delle informazioni fa sì che esse possano sia essere relative alla valutazione economica dell’affare nella sua globalità, sia anche alla sua idoneità a far raggiungere gli scopi che le parti si prospettano, sia infine alla sua sicurezza in relazione alla solvibilità delle parti e alla loro capacità di agire.
Mancata comunicazione di circostanze note o solo conoscibili?
Un problema molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza, ed ancora non pienamente risolto, è se il mediatore sia responsabile solo se omette di comunicare le circostanze a lui concretamente note, ovvero se egli debba essere considerato responsabile anche nell’ipotesi in cui non abbia informato i contraenti delle circostanze che avrebbe dovuto e potuto conoscere nello svolgere la sua attività mediatrice con l’ordinaria diligenza.
Fino a non molto tempo fa, in ambito giurisprudenziale si tendeva ad essere piuttosto indulgenti nei confronti del mediatore, dando una interpretazione rigidamente letterale della norma.
Un orientamento giurisprudenziale si è invece caratterizzato per la sua maggiore rigorosità nei confronti del mediatore così seguendo una certa parte della dottrina (Carraro).
In questa linea interpretativa si è inserito il Tribunale di Trieste che con sentenza di data 02.12.91 (in Resp. Civ. Prev., 1993, 622) ha statuito che l’obbligo ex art. 1759 I co. si estende anche alle circostanze che, sebbene non conosciute dal mediatore, lo stesso avrebbe dovuto conoscere o per espresso incarico del cliente, o perché rientranti nel contenuto della prestazione che il mediatore usualmente s’impegna a svolgere in favore del cliente.
La prospettiva più recente, quindi, anche se osteggiata da una parte della dottrina, perviene alla conclusione che il mediatore incorre in responsabilità sia quando omette di comunicare alle parti circostanze rilevanti a lui note, sia quando non le informi di circostanze che di fatto gli sono rimaste sconosciute, ma che avrebbe potuto o dovuto conoscere se, nell’esercizio della propria attività, avesse usato la diligenza e la perizia proprie di un mediatore professionale di quel determinato ramo d’affari.
La Suprema Corte ha affrontato tale problematica e si è inserita nella via tracciata dalla giurisprudenza di merito: L'art. 1759, comma primo, codice civile, laddove impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e sicurezza dell'affare, che possono influire sulla sua conclusione, deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché al lume della disciplina dettata dalla l. n. 39 del 1989, che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), e condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6).
Ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si svolge in un ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico - giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie), al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, é gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Qualora, pertanto, il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, si può configurare una sua responsabilità per i danni sofferti dal cliente. (Cassazione Civile n. 5107/99)
Conformemente alla precedente, sulla base della sentenza 5 aprile 2017, n. 8849, la Suprema Corte ha sancito che, “poiché la legge n. 39 del 1989 subordina l’esercizio dell’attività di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, configurandola come attività professionale, l’obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell’art. 1759 cod. civ. va commisurato alla normale diligenza alla quale è tenuto a conformarsi nell’adempimento della sua prestazione il mediatore di media capacità, e pertanto deve ritenersi che il suddetto obbligo deve riguardare non solo le circostanze note, ma tutte le circostanze la cui conoscenza, in relazione all’ambito territoriale in cui opera il mediatore, al settore in cui svolge la sua attività ed ad ogni altro ulteriore utile parametro, sia acquisibile da parte di un mediatore dotato di media capacità professionale con l’uso della normale diligenza.”
GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA RESPONSABILITA’ EX ART. 1759 C.C. ED IL QUANTUM DELL’OBBLIGAZIONE RISARCITORIA.
La responsabilità del mediatore per violazione del dettato di cui all’art. 1759 C.C. secondo la dottrina prevalente e giurisprudenza costante, ha natura di responsabilità contrattuale. L’intermediario inadempiente, quindi, è tenuto a risarcire il danno cagionato al contraente non informato secondo il disposto degli artt. 1218 ss. C.C..
Si discute invece se ai fini della valutazione della responsabilità del mediatore, sia necessario o meno il requisito della avvenuta conclusione dell’affare.
Secondo un primo e risalente orientamento della Suprema Corte ( Cass. 18.03.59, n, 794, in Rep. Foro It. , 1959, 19), presupposto della responsabilità del mediatore sarebbe la conclusione del contratto che non si sarebbe verificata se il mediatore avesse agito con la dovuta correttezza e lealtà; l’ignoranza di dette circostanze non produce invece alcuna conseguenza dannosa nel caso in cui il contratto non si perfezioni.
Secondo altro orientamento ( Cass. 27.04.73, n. 1160, in Il Foro Padano, 1973, I, 278), invece, la responsabilità del mediatore nella sua attività informativa, ai sensi dell’art. 1759 C.C., sussiste sempre, sia che l’affare abbia avuto buon fine, sia nel caso contrario, poiché la conclusione dell’affare non è prevista dall’art. 1759 C.C. come elemento costituivo della responsabilità del mediatore.
Non è, comunque, richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente, che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cassazione civile, sez. III, 09/12/2014, n. 25851)
In ogni caso, la avvenuta conclusione o meno dell’affare riveste un importante ruolo in merito alla determinazione del quantum dell’obbligazione risarcitoria del mediatore responsabile.
Nel caso in cui l’affare venga concluso, infatti, il contraente non informato potrà pretendere dal mediatore l’intero danno derivatogli dalla definizione dell’affare, sia per quanto concerne il danno emergente che per quanto concerne il lucro cessante. Nel diverso caso in cui l’affare non trovi conclusione, invece, si profila un risarcimento di norma qualificato come “interesse negativo cioè limitato alle spese affrontate e al guadagno non conseguito per il tempo perso nel corso delle trattative.
Sempre per quanto concerne il quantum debeatur imposto al mediatore inadempiente, questo deve essere valutato sulla base dei principi enunciati negli artt. 1223 ss. C.C., comprendendo quindi le perdite subite ed il mancato guadagno che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Così, in un caso di intermediazione immobiliare, il Tribunale di Trieste, nella pronuncia già ricordata, ha dichiarato conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento del mediatore le spese della provvigione, le spese notarili e di registrazione. Analoghi criteri sono stati utilizzati da altri Tribunali: Trib. Como 07.08.89 in Giustizia Civile, 1989,I,2466; Trib. Genova 29.01.92 in Diritto Marittimo, 1993, 1110.
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