La responsabilità del chirurgo estetico e plastico
Versione iniziale a cura dell’avv. Sara Pilloni, rielaborata ed aggiornata
La questione della responsabilità professionale del chirurgo specializzato s’inserisce nell’ambito del più generale tema della responsabilità professionale medica e del rapporto di quest’ultima con la disciplina generale della responsabilità contrattuale.
L'attività medica è giuridicamente inquadrabile come una professione intellettuale, disciplinata nei suoi profili generali dagli artt. 2229-2238 c.c.; l’applicabilità alla professione medica di tali disposizioni e del disposto di cui all’art. 2230 in tema di prestazione d’opera intellettuale, è uno di quegli argomenti logico-giuridici che ha permesso d’inquadrare la responsabilità medica come una responsabilità di tipo contrattuale. Sul punto, ha avuto modo di esprimersi in diverse occasioni la Corte di Cassazione, contribuendo a evidenziare con maggiore chiarezza la natura contrattuale della responsabilità coinvolta, parimenti alla parallela responsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente. In breve, il medico dipendente del servizio sanitario, il quale ricopre la posizione di operatore di una professione cd. protetta - avendo la stessa ad oggetto un bene costituzionalmente garantito quale il bene della salute tutelato all’art. 32 della Costituzione e richiedendo per il suo esercizio una speciale abilitazione - è gravato nei confronti del paziente da una serie di obblighi di comportamento di varia natura, fondati sul cd. “contatto sociale”, diretti a tutelare tutti quegli interessi che emergono o che sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. Tale concetto, e quello collegato di “contratto sociale”, hanno trovato un saldo riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577/2008, sino alla più recenti pronunce della Suprema Corte (es. la sentenza della Corte di Cassazione n. 6093/2013).
La qualificazione come contrattuale della responsabilità medica determina, in particolare:
a) l’applicabilità della regola di cui all'art. 1218 c.c. in tema d’inadempimento, essendo quindi il debitore inadempiente a dover dimostrare che l'inadempimento, o il ritardo, è stato determinato dall’ impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile;
b) l’operatività del termine di prescrizione decennale;
c) la risarcibilità del danno circoscritta, ai sensi dell'art. 1225 c.c., a quello prevedibile al tempo in cui è sorta l'obbligazione, in assenza di dolo in capo al debitore inadempiente;
d) l’operatività non solo del limite di responsabilità previsto all’art. 2236 c.c., nei casi, quindi, di dolo e colpa grave nell’ipotesi di risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, ma anche del limite di cui all’art. 1176, II comma c.c., essendo il medico assimilabile ad un debitore qualificato e, pertanto, onerato di un dovere di diligenza qualificata e superiore a quella del buon padre di famiglia, con la conseguente responsabilità anche per colpa lieve se, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia, abbia provocato un danno per omissione di diligenza (Cass. Civ. n. 9085/06).
È nell’ambito di questo contesto che s’inserisce il tema della responsabilità del medico specializzato e, in particolare, quella del medico chirurgo plastico (ovvero estetico).
È un fenomeno, quello della chirurgia estetica, sempre più diffuso nella nostra società, sostenuto principalmente dal desiderio, proprio di pazienti di ogni sesso ed età, di voler migliorare quegli aspetti considerati imperfetti nel proprio aspetto fisico; chiaramente, ad una domanda sempre più consistente di prestazioni chirurgiche di questo tipo, si accompagna fisiologicamente un aumento delle richieste di risarcimento connesse ad eventuali errori operati dal chirurgo, ovvero all’insoddisfazione per il risultato ottenuto.
L’aspetto che più interessa approfondire è quello inerente alla responsabilità civile e ai danni di cui eventualmente può essere chiamato a rispondere il medico.
Logica premessa per la qualificazione dell’obbligazione gravante sul chirurgo plastico è la peculiare natura della sottospecializzazione della chirurgia estetica che, in quanto tale, non ha uno scopo tout court curativo, ma è piuttosto volta al miglioramento delle imperfezioni meramente estetiche di una persona; è evidente, quindi, come questa disciplina chirurgica ben si presti ad essere considerata maggiormente come fonte di un’obbligazione di risultato, piuttosto che di mezzi, poiché, nel momento in cui il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, lo fa in vista dell’ottenimento di un determinato risultato estetico, e non certo per ottenere dal medico solo la rassicurazione che farà il possibile per raggiungerlo. L’orientamento della Giurisprudenza sul punto, comunque, non è stato affatto univoco.
Un primo orientamento, ha qualificato l’obbligazione del chirurgo estetico come di risultato; tale qualificazione aveva come necessario corollario l’onere in capo al chirurgo plastico di dimostrare di non aver commesso errori e di essere esente da colpa. In caso di prova contraria insoddisfacente, la colpa era considerata sostanzialmente presunta in capo al chirurgo. La qualificazione dell’obbligazione del chirurgo plastico (ovvero estetico) come obbligazione di risultato doveva, comunque, essere valutata alla luce delle più recenti innovazioni tecniche in materia; un tanto è stato sottolineato sin dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 10014/1994, secondo cui “nel contratto avente ad oggetto una prestazione di chirurgia estetica, il sanitario può assumere una semplice obbligazione di mezzi, ovvero anche una obbligazione di risultato, da intendersi quest'ultimo non come un dato assoluto ma da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie”. È una posizione, questa, che ha avuto un certo seguito sino a tempi relativamente recenti (v. Tribunale di Padova, sentenza 10 marzo 2004), ma è oggi superata.
Un secondo orientamento della Corte di Cassazione ha qualificato l’obbligazione del chirurgo estetico come obbligazione di mezzi; significativa, sul punto, è la sentenza della Corte di Cassazione n. 12253/1997, secondo cui “l'obbligazione del professionista nei confronti del proprio cliente, anche nel caso di intervento di chirurgia estetica, è di mezzi, onde il chirurgo non risponde del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attendeva e che egli non è tenuto ad assicurare, nell'assenza di negligenza od imperizia, fermo l'obbligo del professionista di prospettare al paziente realisticamente le possibilità dell'ottenimento del risultato perseguito”. È un intervento, questo della Corte di Cassazione, in linea con la rinnovata considerazione, anche solo a livello meramente sociale, di cui gode la chirurgia estetica come disciplina chirurgica e della sua valenza curativa e non solo “cosmetica”, recepito anche dalla più recente giurisprudenza di merito (su tutte: Tribunale di Bari, sentenza n. 1780 del 23 maggio 2011; Tribunale di Modena, sentenza n. 1543, 20 settembre 2006).
Al riguardo però, è interessante una sentenza con il quale il Tribunale di Milano afferma che, “a prescindere dalla qualificazione dell’obbligazione in esame come di mezzi o di risultato, chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto e per raggiungere un determinato risultato: ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto, determinandone la natura.” (Trib. Milano, Sez. I, 29 ottobre 2015, n. 12113)
Il problema della responsabilità del chirurgo estetico si basa essenzialmente sulla problematica del cd. “consenso informato” reso dal paziente. In questo modo, oltre alla posizione del paziente, anche quella del medico chirurgo risulta più concretamente tutelata: facendo rientrare tutte le prestazioni medico – chirurgiche nell’ambito delle obbligazioni di mezzi (orientamento, questo, già adottato dalla Suprema Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577/2008), non si esige che il medico guarisca il paziente, ma che s’impegni e si obblighi ad un comportamento che sia rivolto alla guarigione, o quantomeno al miglioramento delle condizioni dello stesso. Il mancato ottenimento del risultato previsto non comporterà quindi la responsabilità del medico, a maggior ragione nei casi di particolare complessità, in quanto operante l’esimente sopra ricordata di cui all’art. 2236 c.c.
Alla luce di ciò, in adempimento al proprio dovere di informare correttamente il paziente, e a tutela del consenso e della salute di quest’ultimo, il chirurgo plastico (ovvero estetico) ha l’onere di tratteggiare in modo dettagliato il risultato che intende raggiungere a seguito dell’operazione, le modalità dell’intervento, e di prospettare realisticamente i rischi e le possibili conseguenze pregiudizievoli connesse all’intervento. Parimenti, il paziente ha l’onere di prestare la dovuta attenzione alle informazioni che gli vengono fornite, al fine di valutare l’opportunità di sottoporsi all’intervento, di cui andrà ad assumere consapevolmente il rischio prospettato dallo specialista, nell’esercizio della propria autonomia privata. È questo ciò che emerge sin dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 3604/1982, secondo cui “è onere del chirurgo, prima di procedere a un'operazione, al fine di ottenere un valido consenso del paziente, specie in caso di chirurgia estetica, informare questi dell'effettiva portata dell'intervento, degli effetti conseguibili, delle inevitabili difficoltà, delle eventuali complicazioni, dei prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto” (sul punto si veda Corte di Cassazione, n. 22327/2007 e Corte di Cassazione n. 9705/1997).
Tuttavia, “affinché l'accordo tra chirurgo estetico e paziente sia validamente raggiunto quest'ultimo, deve aver avuto una informazione idonea a fargli conoscere e valutare l'atto clinico e la conseguibilità del miglioramento sperato, anche in relazione al proprio grado culturale e alle capacità psichiche. In ogni caso, va precisato che il concetto di insoddisfazione del paziente non può avere carattere puramente soggettivo e deve essere strettamente correlato con l'informazione fornita dal medico all'utente prima dell'intervento chirurgico, al momento cioè della sottoscrizione del modulo cd. consenso informato”. Con la medesima pronuncia, la Suprema Corte ha affermato che “quando ad un intervento di chirurgia estetica segua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o attenuare, la responsabilità del medico per il danno derivatone è conseguente all’accertamento che il paziente non sia stato adeguatamente informato di tale possibile esito, ancorchè l’intervento risulti correttamente eseguito” (Cass. civ., Sez. III, 6 giugno 2014, n. 12830).
A tal proposito, si segnala la sentenza n. 8243 del 24/07/2017, con cui il Tribunale di Milano ha affrontato delle questioni relative alla responsabilità medica, ponendo in particolare dei limiti alla responsabilità del chirurgo plastico.
Il caso di specie riguardava una donna che si è sottoposta ad un intervento di mastoplastica additiva e che, a suo avviso, aveva determinato diverse complicanze nonché disagi in ambito sessuale e psicologico. Inoltre la donna sosteneva di non essere stata informata sulle possibili conseguenze, anche negative, dell’intervento.
Il Tribunale giunge ad escludere la responsabilità del medico sulla circostanza che l’intervento sia stato eseguito a regola d’arte e sulla mancanza agli atti di documentazione oggettiva comprovante il nesso di causalità tra la condotta del chirurgo e la sintomatologia lamentata dalla paziente.
La responsabilità del medico viene esclusa anche in ordine alla dedotta lesione del diritto al consenso informato, dal momento che l’attrice non ha assolto all’onere sulla stessa gravante e il convenuto, d’altro canto, ha provato l’adempimento dell’obbligazione di informare la paziente dei rischi e delle complicazioni legate all’intervento eseguito.
Il Giudice ha avuto così modo di precisare che “grava sul paziente l’onere di dimostrare sia la sussistenza del nesso causale tra la lesione del suo diritto alla autodeterminazione e la lesione della salute derivante da una prevedibile conseguenza di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma non correttamente assentito dal paziente (dovendo il paziente provare, anche mediante presunzioni, che ove adeguatamente informato avrebbe rifiutato l’intervento); sia la sussistenza del danno derivante dalla mancata informazione, danno declinabile sia in termini di lesione del diritto alla salute (per le conseguenze invalidanti derivate dall’intervento) sia in termini di lesione del diritto all’autodeterminazione ( purché ne sia derivato un pregiudizio non patrimoniale di apprezzabile entità)”.
Va precisato che la responsabilità professionale del medico è stata oggetto negli ultimi anni di alcuni importanti interventi legislativi.
La colpa medica era regolata dall’art. 3 co. l. della Legge n.189/12 (c.d. legge Balduzzi), la quale prevedeva che il sanitario rispondesse penalmente solo per colpa grave. Secondo la giurisprudenza unanime, la colpa grave si ha quando il sanitario si attiene a linee guida e non avrebbe dovuto attenersi, ossia quando macroscopiche specificità del caso concreto imponevano di non attenersi (da ultima: Cass. n. 27185/15).
Quando le specificità del caso concreto non sono invece macroscopiche, la colpa è lieve, cosicché il sanitario non risponde penalmente.
Dal lato civilistico invece, la riforma Balduzzi non aveva introdotto novità rilevanti, ma aveva addirittura alimentato forti dubbi circa l'esatta qualificazione da attribuire alla responsabilità medica, ovvero se essa dovesse essere considerata contrattuale (come asseriva la preminente giurisprudenza) o extracontrattuale (come poteva far pensare il richiamo all'articolo 2043 c.c. contenuto nella norma del decreto Balduzzi relativa alla responsabilità penale).
Con la riforma Gelli, Legge 8 marzo 2017, n. 24, questi dubbi si sono attenuati; la responsabilità penale del medico è stata confermata, fatta salva però l’esclusione della punibilità nei casi in cui l’evento si sia verificato a causa di imperizia, qualora egli si sia attenuto alle raccomandazioni o alle buone pratiche clinico-assistenziali, e “sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto” (art. 6);
Quanto alla responsabilità civile invece, la riforma ha avuto l’obiettivo di concentrare la responsabilità e le relative conseguenze in capo alle strutture sanitarie, pubbliche o private che siano, alleggerendo i medici dai relativi oneri e ridando loro la serenità necessaria a operare senza ricorrere a meccanismi di eccessiva autodifesa.
Da un lato, si è confermata l’ormai assodata responsabilità contrattuale (ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.) delle strutture che a qualsiasi titolo si avvalgano dell’operato degli esercenti la professione sanitaria per le condotte colpose o dolose di questi ultimi (art. 7);
dall’altro si è affermata la responsabilità personale del medico verso il paziente solo “ai sensi dell’art. 2043 c.c.”, quindi in via extracontrattuale, fatta eccezione per i casi in cui abbia agito in adempimento di obbligazioni assunte con il paziente, rispondendo in tal caso anch’egli contrattualmente (art. 7, comma 3) (Critici sul punto, Pardolesi, Simone, in Nuova responsabilità medica, p. 167., 2017)
Si può constatare che la giurisprudenza è unanime nell’affermare il principio secondo cui, anche nell’ipotesi in cui il paziente si rivolga direttamente al medico, concludendo con questi il contratto di cura, vi è, in caso di errore, una corresponsabilità della struttura sanitaria, chiamata a rispondere a titolo contrattuale nei confronti del paziente stesso.
E’ stato di diverso avviso invece il Tribunale di Verona che, con una sentenza in riferimento al caso di specie ha ritenuto di condannare esclusivamente il medico, escludendo la responsabilità della struttura sanitaria presso la quale il sanitario aveva effettuato l’intervento. Ci sono stati due interessanti profili in questa sentenza: innanzitutto, il giudice ha affermato che deve essere esclusa la responsabilità della struttura in ragione del fatto che la paziente aveva stipulato direttamente con il sanitario un contratto di prestazione d’opera professionale e che, dunque, nessun inadempimento dell’obbligazione avente ad oggetto la prestazione chirurgica può essere imputato alla struttura, la cui responsabilità deve restare circoscritta alle prestazioni accessorie di messa a disposizione di personale, attrezzature, etc.; sotto un secondo profilo, non può ugualmente ritenersi sussistere una responsabilità della struttura per fatto dell’ausiliario in ragione del fatto che il sanitario in questione, liberamente scelto dalla paziente, non può dirsi un ausiliario della struttura poiché non ha assunto in proprio l’obbligazione di eseguire l’intervento. (Tribunale di Verona, sez. III, sent. 22 giugno 2017).
In ordine al risarcimento del danno invece, sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione n. 18853 del 20.09.2004, il chirurgo estetico non è obbligato solamente al rimborso della somma corrisposta per l’operazione, ma anche a risarcire al paziente i danni nelle sue componenti sia patrimoniale sia non patrimoniale.
In relazione al danno patrimoniale, dovranno essere tenute in considerazione non solo le spese vive sostenute per effettuare l’intervento, ma anche le spese per eventuali menomazioni di tipo psicologico, qualora l'insuccesso dell'intervento estetico abbia causato uno stato tale di prostrazione psicologica da aver reso necessario il ricorso alle cure di un esperto. Sotto forma di lucro cessante dovranno essere risarciti, poi, sia i guadagni che il paziente non ha potuto maturare in quanto degente, sia i profitti a cui questi ha dovuto rinunciare a causa della diminuzione della propria integrità psico-fisica.
In relazione al danno non patrimoniale, potrà trovare risarcimento la lesione dell’integrità psicofisica del paziente, così come risultante a seguito dell’esperimento di specifica consulenza tecnica, secondo specifici parametri di liquidazione comprensivi anche del cd. “danno estetico”.
Infine, nel caso si rendesse necessario un secondo intervento allo scopo di ridurre i danni provocati dal primo, potranno rilevare una serie di ulteriori fattori quali, ad esempio, dal punto di vista patrimoniale, il maggior onorario per il chirurgo e la nuova degenza in clinica per il paziente, ovvero, dal punto di vista non patrimoniale, il nuovo possibile trauma psichico del paziente (v. Cass. civ., sez. III, 20 settembre 2004, n. 18853).
Vi è stata infine un’interessante sentenza dalla Corte di Cassazione in tema di responsabilità medica in cui il chirurgo e la clinica sono stati dichiarati responsabili di un intervento chirurgico al seno non completamente riuscito e hanno dovuto risarcire il paziente non solo dei danni fisici, ma anche di quelli psicologici e relazionali. Nel caso in cui l’aspetto fisico del paziente sia importante per la sua attività lavorativa, è necessario risarcire anche il mancato guadagno da perdita di chance. (v. ordinanza n. 25109 del 24 ottobre 2017).
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