Sinistro stradale in area privata
Stabilire se un sinistro stradale si è verificato entro un’area di uso pubblico o su un’area privata comporta una serie di conseguenze di non trascurabile rilievo. La questione, infatti, solleva diverse problematiche, tra cui quella dell’applicabilità o meno alla fattispecie delle norme relative alla circolazione stradale e delle presunzioni di cui all’art. 2054 C.C., nonché del possibile esercizio ex art. 144 del D.Lgs. 209/2005 dell’azione diretta accordata al danneggiato nei confronti dell’assicuratore del danneggiante.
Tali quesiti ovviamente sorgono in quanto non sempre la giurisprudenza è stata univoca; si rinvengono difatti diverse interpretazioni fornite dalla Suprema Corte o dai Giudici di merito su fattispecie sostanzialmente simili.
Le prime divergenze si incontrano sui criteri da utilizzare per definire come pubblica o privata un’area. Secondo un orientamento, oggi ritenuto minoritario e superato (Cass. Pen. 04.11.88 in GI, 1989, II, 391), la distinzione in esame deve essere effettuata secondo criteri formalistici quali la demanialità o meno della strada. Secondo l’orientamento prevalente, invece, non bisogna accertare il soggetto proprietario per rinvenire il discrimen tra strada pubblica e privata, ma è necessario effettuare una verifica di fatto sulle modalità d’uso della stessa uti singuli o uti cives, nonché sulla pericolosità della circolazione che su di essa si svolge (Cass. Pen. 15 maggio 1992, n. 5695 in AGCS, 1992, 655; Cass. Pen. 1 dicembre 1988, n. 11778, in AGCS, 1988, 470; Cassazione civile , sez. III, 01 marzo 2007, n. 4793).
L’orientamento suesposto influisce sul quesito dell’applicabilità o meno della disciplina del Codice della Strada ad incidenti verificatisi in area privata: “In materia di circolazione stradale, a un’area appartenente a privati è applicabile la disciplina del Codice della Strada, se l’uso di essa è consentito a tutti; invero, è l’uso pubblico o privato che rende applicabile alle aree la disciplina specifica sulla circolazione stradale (o meno), e non già l’appartenenza delle stesse a enti pubblici o privati.” (Cass. Pen. 13 maggio 1988, in RGCT, 1990, 248). Conformi: Cass. Pen. 8 maggio 1979, in AGCS, 1980, 208; Cass. Pen. 26 aprile 1980). Più recentemente, così si è espressa la Suprema Corte: “ Ai fini della definizione di «strada», è rilevante, ai sensi dell'art. 2, comma 1, del nuovo codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà. È pertanto, l'uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del codice della strada. Ciò è confermato dall'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 2, ai sensi del quale anche le strade «vicinali» sono assimilate alle strade comunali, nonostante la strada vicinale sia per definizione (art. 3, comma 1, n. 52, stesso codice) di proprietà privata, anche in caso di destinazione ad uso pubblico.” (Cassazione civile , sez. II, 25 giugno 2008, n. 17350)
Interessante in proposito è pure una pronuncia del T.A.R. del F.V.G. 30.9.92 n. 397 in Riv. giur. edil., 1993, I, 404: “Al fine di destinare una strada all’uso pubblico, occorre che la medesima sia idonea a soddisfare le esigenze della collettività, ossia di un numero indeterminato di cittadini…”.
Va in ogni caso sottolineato che le norme del Codice della Strada, pur a rigore applicabili unicamente alla circolazione stradale su aree pubbliche, vengono richiamate dalla giurisprudenza come regole di condotta da osservarsi, con particolare riferimento a quelle ispirate a criteri di elementare prudenza e diligenza, anche sulle aree private: “Nei cantieri di lavoro, come in genere nelle aree private, non vigono le norme di circolazione stradale previste dal t.u. 15 giugno 1959, n. 395, data l'esplicita limitazione contenuta nell'art. 1 del predetto t.u. alla circolazione "sulle strade" e data la specifica definizione di strada come "area di uso pubblico aperta alla circolazione dei pedoni, degli animali e dei veicoli" sancita dal successivo art. 2. Alcune di tali norme, tuttavia, cioe' quelle che si ispirano a criteri di elementare prudenza e diligenza, sono applicabili anche alla circolazione dei veicoli in area privata. (Nella fattispecie e' stato, in particolare, affermato che la retromarcia di un grosso veicolo deve essere effettuata, anche se eseguita su un'area privata, con quelle precauzioni che attengono alla situazione di pericolo connessa a quella manovra, ispezionando il percorso che si deve compiere e accertandosi che nessuna persona possa frapporsi su detto percorso)” Cassazione penale sez. IV, 8 gennaio 1991,in Riv. giur. circol. trasp. 1992, 703.
Sempre la Cassazione, in una più recente sentenza, è andata addirittura oltre, sostenendo che le norme del Codice della Strada si applicano, ai sensi dell’art. 1, alle strade pubbliche o aperte al pubblico transito; le stesse, tuttavia, quali norme di comune prudenza, devono osservarsi anche sulle strade private in qualsiasi modo soggette al traffico veicolare (Cass. 12 dicembre 1993 n. 12148 in Foro It., 1994, I, 420). In una sentenza ancora più recente si legge: “In caso di incidente stradale derivante dalla circolazione in area privata, risponde di omicidio colposo colui che non osservi le norme di prudenza e diligenza che il codice della strada prescrive per la circolazione su aree pubbliche o di fatto soggette all'uso pubblico. Infatti, è identica la situazione materiale di pericolo derivante dalla predetta circolazione, per cui gli utenti dell'area privata hanno diritto di attendersi dai conducenti di veicoli a motore un comportamento di osservanza delle norme del codice della strada anche quando questi ultimi si trovino a circolare in area privata.” Cassazione penale , sez. IV, 24 novembre 2005, n. 7669 in Guida al diritto 2006, 20, 101.
Per quanto concerne l’applicabilità, o meno, delle disposizioni di cui all’art. 2054 C.C., secondo l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, perché sorga ed operi la presunzione di colpa stabilita dall'articolo citato a carico del conducente del veicolo e la conseguente responsabilità' del proprietario, e' necessario che ricorra il presupposto della circolazione del veicolo su strada pubblica o su una strada privata soggetta ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o di veicoli. Pertanto, non e' applicabile la presunzione di colpa di cui all'art. 2054 c.c. nel caso in cui non ricorra detto presupposto ed il danno sia stato prodotto in area privata nella quale non esista traffico e circolazione di veicoli (Cass. 26.07.97 n. 7015 in Arch. giur. circol. tras.1997,890).
La giurisprudenza di merito, in un’interessante pronuncia del Tribunale di Roma (Trib. Roma, 19.settembre 1984, in Riv. giur. circol. trasp., 1995, 83) ha interpretato il concetto di “circolazione” di cui all’art. 2054 C.C. in maniera estensiva, ritenendo sufficiente per integrarne gli estremi “un traffico veicolare o pedonale, anche in un’area privata, tale tuttavia da concretare una situazione di pericolosità paragonabile a quella propria del traffico su strada pubblica o aperta al pubblico”. Il Collegio romano, pertanto, ha applicato l’art. 2054 C.C. ad un sinistro avvenuto all’interno di uno stabilimento industriale non aperto al pubblico ma interessato al traffico di autotreni per il carico e lo scarico delle merci.
Peraltro, va sottolineata l’esistenza di altra sentenza dello stesso Tribunale (Trib. Roma 27.09.97 n.17119 in Arch. Giur. Circol. Trasp., 1998, 781) che, in fattispecie quasi analoga, non solo ha respinto l’estensione delle norme del Codice della Strada, ma anche l’applicabilità delle presunzioni di cui all’art. 2054 C.C.. Nello stesso senso si è anche espresso recentemente il Giudice di pace di Torino, sez. V, 06 novembre 2006 in Redazione Giuffrè 2008: “…in tal caso (cioè in caso di sinistro in area privata n.d.r.) incombe al danneggiato dimostrare la colpa dell’altra parte dovendo basare la sua domanda sull’art. 2043 c.c. non potendo avvalersi della presunzione di colpa prevista dall’art. 2054 c.c. con le relative conseguenze”.
Ulteriore problematica correlata ad un sinistro che si verifichi entro un’area privata è l’esperibilità o meno dell’azione diretta ex art. 144 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. 209/2005) nei confronti dell’assicuratore del danneggiante, salva ovviamente l’azione extracontrattuale nei confronti del danneggiante stesso.
L’azione di cui all’art. 144 citato (già art. 18 L.990/69), infatti, compete al danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice solamente con riguardo a un sinistro causato dalla circolazione di un veicolo in “circolazione su strade ad uso pubblico o su aree a queste equiparate” (art. 122 Codice delle Assicurazioni).
Il punctum pruriens della questione è quindi l’individuazione del significato da ricondurre alla espressione “aree equiparate”.
Una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 15.04.1996 n. 3538) si è diffusamente trattenuta sulla questione richiamando innanzitutto la migliore giurisprudenza in ordine alla qualificazione di area pubblica e privata: “…non e' tanto alla natura pubblica o privata della strada che deve aversi, quindi, riguardo, bensi' all'uso pubblico" della stessa, intendendosi per tale la concreta destinazione "al transito abituale di un numero indeterminato di persone, che si servano di essa per passarvi uti cives e non uti singuli" (Cass. 7 dicembre 1979, n. 6362; Cass. 7 maggio 1992, n.5414).”
In ordine alla suddetta equiparazione, la Cassazione, sempre sulla scorta della migliore giurisprudenza, non considera quali strade ad uso pubblico “le aree di una officina privata, siano esse interne od esterne (quali gli spazi privati antistanti, laterali o retrostanti, utilizzati per il parcheggio od il deposito), anche se in esse si svolge una parziale circolazione, che rimangono del tutto private ed in cui la circolazione non e' consentita, indifferentemente, alla generalita' dei cittadini, bensi' soltanto a coloro che abbiano istituito od istituiscano uno specifico rapporto, contrattuale o meno, col titolare, (cfr, Cass. 6 novembre 1976, n. 4053, per le aree all'interno di uno stabilimento industriale).
Conseguentemente, secondo tale indirizzo, "il danneggiato in un sinistro derivante dalla circolazione di un veicolo a motore in area privata non aperta al pubblico transito non puo' esperire, per il risarcimento del danno, l'azione diretta prevista dall'art. 18 della l. 24 dicembre 1969, n. 990, contro l'assicuratore del veicolo, atteso che tale azione e' consentita solo per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strade di uso pubblico od aree a queste equiparate" (Cass. 27 dicembre 1991, n. 13.925).
Con la stessa sentenza e' stato precisato che questo principio non trova deroga neppure nel caso in cui la polizza preveda, come spesso accade, l'estensione della copertura assicurativa danni anche a sinistri verificatisi sulle aree private, in quanto “tale patto e' operativo solo nei rapporti tra le parti, cioè' tra l'assicurato e l'assicuratore, ma non comporta l’applicabilità' della normativa di cui alla legge sull'assicurazione obbligatoria". L'assicurazione infatti, come qualsiasi altro contratto, spiega gli effetti esclusivamente tra le parti, le quali unicamente sono legittimate a richiedere l'adempimento delle rispettive obbligazioni (art. 1372 c.c.).
Va sottolineato che la medesima sentenza (successivamente confermata dalla sentenza n. 2791 del 24.03.99 in Arch. Giur. Circ. Trasp. 1999, 608), chiarisce che “al fine di riconoscere o meno l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore non devesi fare riferimento al luogo in cui si e' verificato l'incidente ed il danno, bensì alla natura giuridica del luogo in cui avviene la circolazione del veicolo produttiva del danno. La precisazione assume rilievo allorché un veicolo che circoli su strada, invada per un qualsiasi motivo, sia esso volontario o meno (quale uno sbandamento a causa di eccessiva velocita' od altro; una manovra di retromarcia, etc.), un'area privata, ed ivi cagioni il danno (investendo una persona, danneggiando un mezzo che vi si trovi parcheggiato, un qualsiasi altro bene o la stessa area privata). Appare ovvio che, in tal caso, l'invasione dell'area privata, volontaria o meno, si inserisce a pieno titolo nell'ambito della circolazione su strada o su area equiparata, legittimando il danneggiato all'azione diretta nei confronti dell'assicuratore.”.
Il medesimo orientamento si riscontra poi in più recenti pronunce della Suprema Corte: “Ai fini dell'applicazione della normativa sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore di cui alla l. 24 dicembre 1969 n. 990, è indifferente la natura pubblica o privata dell'area aperta alla circolazione, essendo rilevante soltanto l'uso pubblico della stessa, per tale intendendosi l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone, e cioè la possibilità giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale dalla documentazione fotografica prodotta emergeva che l'incidente si era verificato nel cortile interno ad un fabbricato, adibito al servizio esclusivo dei condomini dello stesso e non all'uso di un pubblico indifferenziato).Cassazione civile , sez. III, 06 giugno 2006, n. 13254 in Giust. civ. Mass. 2006, 6. Conforme: Cassazione civile, sez. III, 29 aprile 2005, n. 9003 in Giust. civ. Mass. 2005, 5.
Lo stesso concetto, sia pur con una importante precisazione in ordine al significato da attribuire al termine “numero indeterminato di persone”, si ritrova anche nella sentenza della Suprema Corte 27 ottobre 2005 n. 20911 (in Giust. civ. Mass. 2005, 10; Arch. giur. circol. e sinistri 2006, 5 484): L'azione diretta spettante al danneggiato da un sinistro stradale, ai sensi degli art. 1 e 18 della legge n. 990 del 1969, nei confronti dell'assicuratore del responsabile è ammessa anche per i sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su area (da equiparare alla strada di uso pubblico), che, ancorché di proprietà privata, sia aperta ad un numero indeterminato di persone ed alla quale sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari dei diritti su di essa, non venendo meno l'indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano tutti ad una o più categorie specifiche e quando l'accesso avvenga per peculiari finalità ed in particolari condizioni (come si verifica, ad esempio, in un cantiere, al quale hanno accesso tutti quelli che vi lavorano e coloro che hanno rapporti commerciali con l'impresa). Costituisce oggetto di apprezzamento di fatto, come tale devoluto al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, l'accertamento in ordine alla concreta accessibilità dell'area al pubblico, come sopra intesa.”
Per ultimo, va rilevato che la problematica relativa alla qualificazione di area pubblica o privata ove si è verificato il sinistro è stata sollevata anche per stabilire la competenza del Giudice di Pace. Riportiamo in proposito la seguente massima: “Deve escludersi che l’espressione “circolazione di veicoli” contenuta nell'art. 7 comma 2 c.p.c. in funzione della individuazione della relativa regola di competenza, si debba intendere nel senso di alludere alla circolazione dei veicoli soltanto su strade pubbliche o di uso pubblico o comunque su strade o aree private con situazione di traffico equiparabile a quella di una strada pubblica. Ne deriva che la regola di competenza è applicabile anche nel caso di circolazione su strada o su area privata, come nella specie (sinistro avvenuto nell'area condominiale antistante un cancello di accesso ai boxes condominiali e consistito nell'urto di un'autovettura contro il cancello).” Cassazione civile , sez. III, 01 agosto 2008, n. 20946 in Arch. giur. circol. e sinistri 2008, 11 925.
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