L'autovelox
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SOMMARIO:
1. L'autovelox. Evoluzione ed affidabilità.
2. Rilevanza probatoria dell'autovelox.
3. Giurisprudenza dei giudici di merito.
4. Giurisprudenza della cassazione.
5. Contestazione ed accertamenti.
6. Notifica della contestazione.
7. Eccesso minimale.
8. l'identificazione del conducente.
9. Uso di dispositivi di intercettazione degli autovelox.
10. Uso degli abbaglianti.
11. Sindacabilità del limite di velocità.
12. Sospensione della patente.
1. L'autovelox è un dispositivo elettronico per il controllo della velocità nella circolazione stradale; consiste in una attrezzatura fissata al lato della strada predisposta alla rilevazione del tempo di percorrenza da parte di un veicolo da una determinata distanza ed al conseguente calcolo della velocità tenuta dallo stesso.
Il principio di funzionamento dell'autovelox, e l'ideazione del primo esemplare, risale alla seconda metà degli anni '60. Perfezionato nel 1978, fu omologato successivamente, fino ad arrivare all'autovelox modello 104 e di recente al sofisticato 104 Ce (omologato nel 1991). L'autovelox attuale ha ovviamente mantenuto le caratteristiche precedenti ed è dotato di un trasmettitore radio installato a lato della strada o sul tetto della vettura di servizio. Gli autovelox utilizzati in Italia sono gli strumenti più moderni ed intelligenti nel campo della rilevazione automatica della velocità, adottabile in relazione ai progressi compiuti dalla più avanzata tecnologia, senza trascurare la miniaturizzazione della strumentazione, tant'è che l'intera attrezzatura è contenuta in una valigetta e ciò consente, a differenza dei precedenti modelli, una immediata installazione.
Per l'utente della strada vi è una ulteriore garanzia: tutti gli autovelox oggi in uso, a norma dei relativi decreti di omologazione, sono stati programmati con un margine di tolleranza per cui, in sede di contestazione, la velocità rilevata va sempre depurata di una percentuale del cinque per cento con un minimo di cinque chilometri a favore del trasgressore. li rilevatore tachimetrico dell'autovelox considera sempre una depurazione del cinque per cento su quello che è l'indice rilevato dall'apparecchio. Questa tolleranza, naturalmente, è convenzionale, in quanto non connessa alla effettiva attendibilità dello strumento. Il consiglio superiore dei lavori pubblici ha ritenuto necessario assumere, per tutti gli apparecchi di misurazione di velocità e di cui all'articolo 345 del regolamento di attuazione del codice della strada, a garanzia del conducente, la presunta imprecisione del contachilometri installato sulla prop ria auto, affermando, invece, la precisione delle misurazioni effettuate dai dispositivi autovelox.
2. Inizialmente vi sono stati numerosi inconvenienti, superati successivamente.
Il codice del 1959, in merito all'eccesso di velocità, di cui all'articolo 103 n. 8, disponeva che se vi era un superamento di oltre dieci chilometri, il fatto costituiva reato. La suprema corte, all'epoca, stabilì principi non univoci nella valutazione radar tachimetro e ritenne che non poteva rappresentare una fonte unica di convincimento e di attendibilità. In alcuni casi la cassazione ha considerato le rilevazioni del tachigrafo come aventi natura di indizio, ritenendo di dovere integrare la prova con altri elementi, quali, principalmente, la contestazione personale ai soggetti identificati dagli agenti di polizia.
D'altro canto, il continuo progresso della tecnica ha reso possibile un perfezionamento dei radar tachimetri, per cui la rilevazione della velocità da parte d strumenti di misurazione della velocità, ove non sia provata l'inefficienza dell'apparecchio nel caso concreto, può costituire legittima fonte di prova.
Nel mentre, con la legge 24 ottobre 1981 n. 689, venne decretata la depenalizzazione delle infrazioni ai limiti di velocità, che era prevista dall'articolo 103 del vecchio codice della strada, e fu stabilita la competenza del pretore civile, ai sensi dell'articolo 22 della stessa legge, nelle decisioni in merito alle opposizioni alle sanzioni amministrative.
L'articolo che prevede la competenza del pretore, oggi, è il 205 del nuovo codice della strada e, visto l'uso ormai regolare dei misuratori automatici, la casistica è diventata sempre più vasta, in sintonia con la graduale evoluzione ed affermazione dell'autovelox, eletto strumento primario ed istituzionale.
Prima di passare ad un esame delle pronunzie della cassazione, è opportuno esaminare le sentenze dei giudici di merito, i quali hanno sempre dato un contributo molto importante alla soluzione dei problemi.
3. Prima dell'entrata in vigore del nuovo codice del 1992, vi erano stati pretori i quali avevano emesso sentenze significative ed ancora valide per studiare il problema della velocità (con riferimento all'autovelox, ai tachimetri o ai contachilometri).
E' quindi necessario evidenziarne alcune, anche in maniera molto sintetica.
Il pretore di Belluno è stato il primo a porsi il problema in modo completo, ed ha stabilito la non esclusiva attendibilità della misurazione compiuta dall'autovelox, che va valutata liberamente, non essendovi alcun elemento che consenta di stabilire se l'apparecchio effettua o meno correttamente la misurazione della velocità.
Il pretore sollevava pertanto alcuni problemi sintetizzabili come segue: a) la ditta costruttrice fornisce le schede elettroniche che permettono il corretto utilizzo dell'apparecchio a disposizione delle forze di polizia; b) vi può essere un difetto di montaggio delle fotocellule e, quindi, un errore nella misurazione; c) può essere installato su superfici in rilievo rispetto al manto stradale e può dare una difformità della rilevazione della velocità; d) bisogna controllare la corretta taratura dell'apparecchio; e) vi può essere un difetto di carica delle batterie, nonché una differenza di taratura.
Sarebbe necessario conoscere statisticamente la percentuale di errori che si riscontrano su questo apparecchio dopo un certo periodo di impiego. Assume ancora il pretore di Belluno nella sua sentenza: "né l'omologazione amministrativa garantisce il funzionamento di un simile strumento". Sulla base di queste considerazioni il pretore pose in dubbio l'esattezza del rilievo effettuato dagli agenti i quali molto spesso non sono dotati di particolari cognizioni che consentano di ovviare ad eventuali difetti di installazione (1).
In un momento successivo, e sempre sulla scia della predetta sentenza, anche il pretore di Eboli, (2) pose in rilievo che l'attività dell'uomo non può essere sostituita dalle apparecchiature elettroniche al fine di ricostruire una realtà storica ed oggettiva. L'attività umana è stata considerata dal pretore di Eboli indispensabile per cui il fattore uomo non può essere sostituito dall'apparecchiatura elettronica.
Dello stesso parere il pretore di Cremona (3) il quale asserisce che l'accertamento svolto tramite attrezzature di supporto (l'autovelox) non può sostituire l'opera dell'uomo, nonostante gli strumenti siano in grado di ricostruire minutamente un certo accadimento storico.
Lo stesso dicasi della decisione emessa dal pretore di Rovigo (4), che rifacendosi alla sentenza del pretore di Belluno, ha affermato l'indispensabile e necessaria partecipazione del soggetto agente.
Per completezza, rimanendo nell'ambito della casistica, prima che entrasse in vigore l'ultimo codice della strada, vi è stata una sentenza del pretore di Venezia (5) che aveva confermato un valore meramente indiziario della apparecchiatura autovelox, in quanto in un caso particolare il pretore aveva fatto ricorso alla consulenza tecnica rimasta senza esito perché i dati degli esperti della polizia della strada non erano completi e la ditta costruttrice dell'autovelox non fornì al pretore ed al consulente la documentazione ed i relativi dati dell'apparecchiatura per un controllo effettivo.
Il pretore ha dichiarato la nullità del rilevamento e l'inaffidabilità dell'apparecchio, ai fini degli accertamenti eseguiti dai vigili.
Con la formulazione della legge 30 marzo 1987 n, 132 venne aggiunto al testo dell'articolo 103 del vecchio codice della strada un nuovo comma (il dodicesimo) in cui si diceva che "E' fonte di prova, oltre che le risultanze degli speciali strumenti adottati dagli organi della polizia dovutamente omologati, anche i documenti relativi ai percorsi autostradali e le registrazioni del cronotachigrafo". Questa norma fu poi trasfusa nell'articolo 142 del nuovo codice della strada.
4. La cassazione ha esaminato spesso il sesto comma dell'articolo 142 codice della strada, che espressamente qualifica la risultanza delle apparecchiature "fonti di prova" (come era stata riportata nel dodicesimo comma dell'articolo 103 del codice della strada introdotto dalla legge n. 132 del 1987) ed ha stabilito la potenziale idoneità a formare il convincimento del giudice.
Il problema, pertanto, va affrontato secondo quanto hanno precisato il pretore di Belluno, ed i successivi giudici di merito, con il ventaglio ipotetico di tutte le possibili casistiche, oppure bisogna chiedersi se si possa tener conto, anche in via teorica, in assenza di indizio realmente oggettivo, del rilevamento dato dall'autovelox.
Circa l'indirizzo oggettivo il consiglio di stato si è più volte pronunciato addirittura richiamando la norma del 2697 cod. civ. e confermando che "occorre che la parte che contesti una risultanza non si limiti ad alligare i fatti, ma tutti gli elementi di seria consistenza e fornisca almeno un principio di prova non essendo altrimenti superabile la presunzione di legittimità degli atti amministrativi".
La suprema corte (6), in sede civile, trovatasi a giudicare sulla rilevazione elettronica, ha ritenuto di confermarne l'attendibilità ogni volta che non siano dimostrati guasti o difetti costruttivi dell'apparecchio. Occorre, quindi, per incrinare la presunzione di correttezza del funzionamento dell'apparecchio, che vengano prodotti dal contravventore oggettivi elementi assumibili come criterio di valutazione quali, per esempio: a) un'incongruenza delle risultanze fotografiche rispetto al dato numerico fornito dal misuratore; b) l'incolonnamento di autovetture a distanza ravvicinata l'una dall'altra nel centro cittadino; c) la mancata contestazione ad altri conducenti, che nello stesso frangente marciavano all'incirca alla stessa andatura; d) l'avvenuta archiviazione di infrazioni riscontrate con lo stesso apparecchio nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, relative al contenuto dei verbali di accertamento che prescrive solamente una sommaria espos izione del fatto come recitava nel vecchio codice della strada l'articolo 603 del regolamento.
A conclusione delle osservazioni innanzi fatte, pare indiscutibile la piena affidabilità probatoria delle rilevazioni effettuate con misuratori automatici, mentre non è condivisibile il numero chiuso delle fonti di prova comprendenti anche la registrazione del cronotachigrafo che annota le ore di marcia e di fermata dell'autoveicolo e l'annotazione sui biglietti autostradali dell'ora di entrata come previsto dall'articolo 142 n.7 del codice della strada e ciò ai fini di stabilire l'eccesso di velocità.
La suprema corte ha affermato che il superamento dei limiti di velocità può desumersi, in assenza di strumenti rilevatori della velocità, da altri elementi che, rigorosamente valutati, ove coesistano e qualora l'imponenza dei fatti faccia desumere l'eccesso in modo evidente (7) (fattispecie relativa ad incidente stradale con riferimento alla lunghezza delle tracce delle frenate e alla violenza dell'urto).
La cassazione conferma che il convincimento sulla velocità deve essere formato anche "sulla base di qualsiasi risultanza del processo, purché dotata di sufficiente valore e sottoposta ad elevato vaglio critico (causa di investimento di pedoni) " (8).
La valenza probatoria delle rivelazioni automatiche pone un'altra problematica in relazione alla validità, secondo la costituzione, del mezzo di prova.
Un'autorevole opinione ha sostenuto che con l'autovelox si verificherebbe una violazione del diritto di difesa sancito dall'articolo 24 della costituzione, in particolare del diritto "della parte accusata di partecipare al controllo, o meglio, alla formazione della prova" (9).
La consulta, investita della questione d'illegittimità costituzionale, proprio in relazione al capitolo quattro (cioè all'attribuibilità al procedimento di opposizione di sanzione amministrativa dello stesso verbale di infrazione, dell'efficacia probatoria di cui all'articolo 2700 cod. civ.) ha risolto negativamente le eccezioni dichiarandole manifestamente infondate.
La corte costituzionale (10) si è limitata ad attribuire, al processo verbale di infrazione, fede di atto pubblico stabilendo che non sussiste contrasto con le norme della costituzione e non violerebbe il diritto alla difesa, ma lasciando impregiudicata la questione sostanziale di effettiva sussistenza sulla quale è poi intervenuta la suprema corte a sezioni unite (11).
Da queste riflessioni e dai riferimenti fatti si deve ammettere che le ottiche del giudizio, nella quasi totalità dei casi, sono riconducibili a: a) la negazione aprioristica dell'attendibilità delle rivelazioni sulla base delle considerazioni teoriche e potenziali; b) la potenziale disfunzione dell'apparecchio.
Esemplare, in merito, è la sentenza del pretore di Belluno che elenca le varie possibilità di errore.
La conclusione tangibile è quindi che la rilevazione dell'autovelox o di altri misuratori omologati, non fa fede privilegiata ai sensi dell'articolo 2700 cod. civ., ma nel caso di giudizi di opposizione, grava sull'opponente l'onere della prova, coerente conseguenza di ogni sistema in cui il progresso tecnologico supera e cancella l'attitudine dell'uomo.
5. L'articolo 200 del codice della strada stabilisce che la violazione, quando possibile, deve essere immediatamente contestata, tanto al trasgressore, quanto alla persona obbligata in solido al pagamento della somma dovuta e che della avvenuta contestazione deve essere redatto verbale contenente le dichiarazioni che gli interessati chiedono di inserire. Deve essere consegnata copia di tale verbale non solo al contravventore, ma anche alla persona obbligata in solido.
Questa norma riprende i contenuti dell'articolo 142 del vecchio codice della strada che pure stabiliva, ove possibile 'l'obbligo della immediata contestazione dell'infrazione e di redazione del verbale. Questa norma dell'articolo 142 si riallaccia all'obbligo generale di alcuni illeciti amministrativi di cui è prevista la depenalizzazione all'articolo 14 della legge 24 ottobre 1981 n. 689, ed in cui si prevede altresì la contestazione immediata, se possibile, al trasgressore.
L'articolo 384 del regolamento di esecuzione del codice della strada, a titolo esemplificativo, elenca i casi di impossibilità di contestazione immediata previsti dall'articolo 201 e inserisce la lettera E in cui si prevede anche "l'accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi che consentono la determinazione dell'illecito in tempo successivo, ovvero dopo che il veicolo oggetto del rilievo sia già a distanza dal posto di accertamento o, comunque, nell'impossibilità di essere fermato". Si è molto dibattuto, in giurisprudenza ed in dottrina, circa la formulazione della contestazione di rito. La giurisprudenza esclude la tassatività di tale adempimento, immediatamente assumendo ed affermando che "una contestazione poteva essere differita però nei termini di centocinquanta giorni dall'accertamento previsto dall'articolo 201 del codice della strada". Tale norma è prescritta dall'articolo 201 comma quinto del codice della strada, e dall'articolo 143 comma primo del vecchio codice della strada. L'omissione della contestazione immediata può venire imputata soltanto agli agenti, quindi può avere solo una rilevanza disciplinare.
Come detto, le norme in materia di illeciti amministrativi sono esplicite e chiarissime nell'imporre l'obbligo incondizionato della contestazione immediata e non ammettendo margini di apprezzamento (12). La disattenzione di tale obbligo può costituire violazione di legge e come tale invalidare tutto il procedimento amministrativo, compresa l'eventuale ordinanza-ingiunzione di sanzione amministrativa. Così anche i provvedimenti di sospensione della patente di cui all'articolo 142 comma nono.
La ratio della contestazione, infatti, obbedisce ad una esigenza di salvaguardia del diritto di difesa (art. 24 cost.) e la normativa riconosce la necessità del contraddittorio immediato al fine di assicurare le migliori opportunità di difesa al cittadino che abbia interesse a svolgere le proprie eccezioni nell'immediatezza del fatto: per l'attualità del contesto in cui è avvenuta l'infrazione, nonché per avere elementi di valutazione più imminenti rispetto ad una eccessiva ricostruzione.
Per il caso specifico della misurazione automatica della velocità, questo non è un elemento trascurabile, in quanto, sebbene le rilevazioni dovrebbero essere fedeli, il contravvenuto potrebbe avere interesse ad opporre rilievi, oltre che sull'effettivo superamento del limite, anche sull'esatta ubicazione dell'attrezzatura, nonché sulla identificazione dell'apparecchio, con un'eventuale perizia sulla corretta ed effettiva presenza dei verbalizzanti sul posto,
Conseguenza dell'omissione non può che essere l'illegittimità di tutto il procedimento, infatti non esistono apparecchi che consentano la rilevazione dei mezzi successivi, in quanto tutti i misuratori elettronici attualmente in uso sono dotati di un monitor che visualizza la velocità al passaggio del veicolo, per cui, oggettivamente, non esiste nella realtà alcuna ipotesi di rilevazione in un momento successivo.
Il problema è estraneo, pertanto, a queste norme e risiede nella organizzazione della contestazione immediata e contestuale dell'infrazione al contravventore.
Qualora, invece, ci si avvalga di attrezzature prive di monitor due sono le alternative: a) provvedere all'inseguimento della macchina che ha infranto le norme del codice (salvo che la velocità effettivamente sia eccessiva, rendendo inattuabile o pericoloso l'inseguimento); b) collocare una pattuglia a distanza tale da potere fermare in tempo debito il contravventore.
Il caso classico è quello che si verifica in autostrada: alcune volte le apparecchiature sono abbandonate, senza operatore di polizia, e le rilevazioni vengono effettuate da un apparecchio in assoluta solitudine; in seguito si procede alla contestazione tramite la notificazione del verbale. Ciò è assolutamente illegale: non si può legittimare la contestazione se l'operatore ha abbandonato l'apparecchio, è assente, o non vicino all'attrezzatura che rileva l'illecito.
L'impossibilità della contestazione immediata può, tuttavia, come ha affermato la cassazione (13) consentire che possa essere disposta, per esempio, successivamente, quando la rilevazione della velocità è di centoventi chilometri orari su strade cittadine con il limite di cinquanta chilometri all'ora.
La suprema corte ha stabilito che, quando l'infrazione non è contestata e il contravvenuto intenda dimostrare che vi era la possibilità di farlo, a quest'ultimo l'onere di provare la possibilità in concreto e spiegarne le ragioni (14).
Il contravventore può anche eccepire: a) che un lieve superamento del limite di velocità non era incompatibile con il fermo della macchina; b) contestare che il traffico non fosse intenso e pertanto poteva procedere l'agente rilevatore, oppure negare che lo strumento era presidiato.
In questi casi il giudice deve esperire adeguata istruttoria testimoniale, chiamando a deporre il verbalizzante o altre persone indicate dall'interessato, così il giudice potrà valersi di tutti i poteri conferitogli dalla legge 24 ottobre 1981 n. 689 ed indagare sui turni di servizio presso l'autorità di polizia, ai fini di accertare se la posizione era veramente coperta dagli agenti di polizia stradale.
L'omissione dell'indicazione dei motivi che non hanno consentito la contestazione immediata, costituisce un'inottemperanza a un preciso dovere di legge e determina l'illegittimità dell'accertamento: così ha stabilito la pretura di Ancona.
Di contrario avviso è stata la cassazione, (16) per cui "se la motivazione è integralmente omessa ricorre la violazione di legge": a) se le indicazioni sono state generiche e incomplete il verbale è affetto da eccesso di potere sotto il profilo insufficiente motivazione; b) qualora invece le ragioni addotte dai verbalizzanti non siano condivisibili è raffigurabile un eccesso di potere nei termini di sviamento.
Su questo argomento per ultimo la suprema corte si è pronunciata ed ha fatto propria la decisione del giudice di merito (pretore di Macerata) accogliendo l'opposizione proposta dal contravventore e facendo valere la regola generale dell'art. 201 cod. strad., secondo la quale la mancata immediata contestazione dell'infrazione qualora siano inesistenti specifici impedimenti in base al disposto dell'art 384 del regolamento di esecuzione, comporta l'annullamento del provvedimento sanzionatorio che sia stato emesso dal prefetto.
Il fatto che sia stata ritenuta indispensabile, dalla cassazione, l'immediata contestazione dell'infrazione accertata (nel caso di specie tra la contestazione e la notifica era trascorso un notevole lasso di tempo) ha implicato, per la stessa corte, indagine di fatto sull'idoneità o meno dell'autovelox, disgiuntamente dagli altri mezzi di prova previsti dal codice della strada, ad assurgere ad unico punto di riferimento per giudicare veritiera la contestazione effettuata e rispondente in tal modo alla dinamica dei fatti.
Come detto innanzi la disciplina relativa alla contestazione e notificazione degli illeciti amministrativi, trova nel codice della strada un suo preciso riferimento normativo, ossia gli articoli 200-201.
Tali norme, richiamate dalla suprema corte nella presente sentenza, prevedendo la notifica solo nel caso di impossibile immediata contestazione dell'infrazione, derogano alla disciplina generale in materia di notifiche stabilita dall'articolo 14 legge n. 689 dei 1981, fatta valere dalla ricorrente prefettura di Macerata, in quanto questo articolo prevede la notificazione "se non è avvenuta la contestazione immediata", prescindendo dalla possibilità o meno di effettuare la contestuale notifica.
Fatta questa precisazione di carattere normativo, occorre rilevare che nell'esaminare la dinamica dei fatti, la corte, che ha seguito il ragionamento del pretore di Macerata, ha ritenuto che la contestazione immediata dell'eccesso di velocità fosse possibile, tenuto presente le caratteristiche tecniche dei modello di autovelox utilizzato per l'accertamento.
L'apparecchio, infatti, modello 104/C segnala immediatamente, al passaggio del veicolo, tramite un avviso luminoso l'eccesso di velocità, e in un momento successivo sviluppa foto e velocità.
Il giudice, contemporaneamente, ha affermato che non ricorrevano alcune delle ipotesi di impossibilità contemplate dal citato articolo 384 del regolamento di esecuzione del codice della strada.
La circostanza in base alla quale l'eventuale eccesso di velocità dei veicolo è rilevata dall'apparecchio mediante attivazione di allarme acustico e contemporanea visualizzazione della velocità su apposito display, ha fatto escludere al giudice che vi fosse la necessità di attendere lo sviluppo della fotografia, che avviene in un secondo momento, per confermare l'esattezza dell'accertamento dell'infrazione e quindi notificare al contravventore l'infrazione. La conclusione del pretore è stata semplicemente quella di prestare il massimo affidamento ai rilievi effettuati dall'autovelox.
Ciò si può giustificare con il continuo progresso tecnologico dei mezzi rilevatori della velocità dei veicoli, i quali permettono oggi un accertamento acustico e visivo istantaneo. Ma tale osservazione non può essere condivisa in tutto.
E' vero che la fotografia non è l'unico mezzo di prova previsto dall'articolo 142 cod. strad. E' altrettanto vero che i mezzi ivi indicati non devono essere valutati disgiuntamente l'uno dall'altro, ma devono fornire una visione d'insieme della condotta contestata.
La cassazione (17) ha stabilito che: "dalla disciplina del codice stradale, al contrario, che la contestazione immediata della violazione alle norme in esso previste ha un rilievo essenziale per la correttezza del procedimento sanzionatorio, onde essa non può essere omessa ogni qualvolta sia possibile- con la conseguenza che la detta omissione costituisce una violazione di legge che rende illegittimi i successivi eventuali atti del procedimento amministrativo.
Va, perciò, ribadito il principio, già affermato da questa corte con la sentenza del 18 giugno 1999 n. 6123, secondo cui il pretore, se riscontra che la contestazione immediata della violazione amministrativa alle norme dei codice stradale, pur concretamente possibile, non è stata effettuata, legittimamente dispone l'annullamento del provvedimento sanzionatorio che sia stato emesso dal prefetto per detta violazione".
6. L'articolo 201 codice della strada stabilisce inoltre che, se la contestazione non è immediata, bisogna eseguire la notifica entro il termine di centocinquanta giorni dall'accertamento al trasgressore, se identificato, o al proprietario, all'usufruttuario, all'acquirente con patto di riservato dominio o all'utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, o all'intestatario del contrassegno, se si tratta di ciclomotore.
L'articolo 201, sempre al primo comma, fa decorrere il termine di centocinquanta giorni da un momento successivo a quello dell'accertamento, se l'identificazione del soggetto indicato non è rintracciabile attraverso i pubblici registri. Si pone in questo caso il problema di individuare il momento in cui si perfeziona, ai fini della notificazione, l'accertamento degli eccessi di velocità.
Il ministero degli interni, con una circolare meramente ricettiva, assume che il momento dell'accertamento è quello in cui si ha a disposizione il materiale fotografico con annotati i dati ottenuti e quindi l'ufficio fa pervenire i rilievi agli agenti che hanno predisposto il servizio.
Riteniamo di dissentire da tale impostazione: si deve considerare che lo scatto del fotogramma integra la virtuale acquisizione dei materiale necessario, sufficiente per il riconoscimento del veicolo e l'identificazione del suo proprietario.
L'esistenza di un'area temporale imprecisata, oltre che indeterminata, opera un pregiudizio del diritto di difesa e della certezza del diritto del cittadino, il quale avrebbe scarsa opportunità di contestare la congruità dei tempi occorsi per lo sviluppo.
Si deve concludere che l'accertamento dell'eccesso di velocità, rilevato con i misuratori elettronici, si compie in perfetta simultaneità con la percezione dell'accertamento della contravvenzione.
Lo scatto del fotogramma, con la contestuale lettura della velocità al passaggio del veicolo, non viene ostacolata da alcun riferimento normativo.
Tale oggettiva interpretazione é contraria ai principi fondamentali di certezza e tutela, come del resto ogni tesi fondata sulla ricorrenza di un imprecisato motivo successivo.
7. Può capitare che un pilota possa superare di qualche chilometro orario il limite massimo consentito su una strada; è allora il buon senso che deve prevalere, anche se i rilevatori elettronici hanno una tollerabilità dal cinque al dieci per cento. Nel caso in cui l'individuo abbia superato soltanto di uno o due chilometri orari il limite massimo, non si può elevare contravvenzione e notificare infrazione (il cui costo, tra l'altro, è molto rilevante).
L'infrazione è configurabile a titolo di colpa e, in particolare, negligenza o imprudenza, solo se la velocità è nettamente eccessiva ed il dolo è in re ipsa. "Deve escludersi, sotto il profilo della negligenza e della imprudenza, la colpa del conducente di autoveicolo, in ordine al quale gli agenti abbiano accertato il superamento della velocità di un solo chilometri orari rispetto a quello consentito (nella specie cinquantuno chilometri orari rispetto ai cinquanta chilometri orari consentiti)" (18). Ed in senso conforme la cassazione, in tema di contestazioni di violazioni amministrative, ai sensi dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1981 n. 689, dispone che salva la diversa rilevanza con riguardo alla responsabilità disciplinare per l'agente accertatore e successivamente con riguardo alla più rigorosa valutazione degli accertamenti in sede giudiziaria, la omessa contestazione immediata della violazi one, pur quando essa è possibile, non invalida la successiva ordinanza ingiunzione, qualora si sia proceduto alla notifica degli estremi della violazione nel prescritto termine di novanta giorni (19). Con i tachimetri a lancetta, i quali sono normalmente imprecisi, vi è una andatura che può essere per eccesso dal cinque al dieci per cento e non si può assolutamente elevare contravvenzione per tale motivazione nel caso di superamento di qualche chilometro.
8. Riprendendo la norma generale dell'articolo 6 legge 24 novembre 1981 n. 689 in tema di depenalizzazione degli illeciti amministrativi si manifesta che tale articolo fa riferimento all'articolo 196 dei cod. strad., il quale stabilisce il principio della solidarietà tra il conducente ed il proprietario dell'autoveicolo per il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria dovuta a violazione stradale.
L'articolo 196 articola quattro ipotesi: a) è responsabile il proprietario e il conducente tranne che il proprietario (la stessa cosa vale per il locatario e per l'intestatario del ciclomotore) non dimostri, come stabilito dal primo comma, che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà; b) il secondo comma dell'articolo 196 parla di padroni e committenti che hanno una responsabilità; solidale con l'autore dell'infrazione salvo non dimostrino di non aver potuto impedire il fatto; c) terzo comma: i dipendenti delle persone giuridiche devono rispondere solidalmente con la società che li rappresenta; d) naturalmente chi non ha responsabilità ha un'azione di regresso nei confronti dell'autore dell'infrazione.
Fatta questa premessa, necessaria ai fini della notificazione al conducente, vediamo che cosa accade in occasione dell'identificazione relativa.
L'ordinamento giuridico, prevede che l'identificazione può limitarsi ad uno solo dei soggetti obbligati in via generale; pertanto, se non viene conosciuto il conducente (in quanto lo stesso viene identificato solo in flagranza di contravvenzione) si riesce a risalire sempre al proprietario attraverso il pubblico registro automobilistico ed allo stesso notificare il verbale con la relativa pena. Vi è prova di quanto sopra all'articolo 201 cod. strad., primo comma, il quale pone in un ambito di sussidiarietà la notifica al proprietario o al soggetto individuabile dai pubblici registri in caso di mancato riconoscimento dell'effettivo trasgressore.
Tale ipotesi, tuttavia, non può essere tenuta in considerazione nel caso in cui ricorra la violazione di cui all'articolo 142, primo comma: eccesso di velocità oltre i quaranta chilometri orari, e che prevede la sanzione accessoria della sospensione della patente, dove l'autorità deve necessariamente provvedere all'identificazione e alla notificazione del provvedimento: infatti poiché in materia di illecito, come in questo caso, non vale il principio di identificazione del proprietario, ma il principio di personalità, in cui viene precisato che il responsabile è colui che ha commesso l'infrazione (e ciò da un punto di vista del ritiro e della sospensione della patente).
L'identificazione costituisce una condizione indispensabile per la notifica dei verbale. Tenendo presente che vi è la possibilità per l'autorità di pubblica sicurezza di identificare la persona e di chiedere al proprietario di identificare la persona alla guida dell'auto, bisogna rilevare che necessitano tempi tecnici per tale attuazione e quindi sarà utile che gli organi di polizia facciano decorrere i termini non dallo sviluppo della fotografia bensì dal momento in cui hanno identificato il vero soggetto responsabile.
E' sempre difficile identificare il conducente dell'auto: interviene in questo caso l'articolo 13 della legge 24 novembre 1981 n. 689 che prevede indagini, ispezioni, interrogatori dei parenti e delle persone vicine al proprietario stesso e, in caso di società, dei legali rappresentanti, delle persone responsabili, al fine di accertare l'identità del conducente che ha superato detti limiti di velocità, al quale verrà notificalo il provvedimento di ritiro della patente. Naturalmente siamo sempre nell'ambito amministrativo e non vi sono quindi i presupposti del diritto ad una difesi nell'ambito penale. I titolari di impresa debbono consentire l'acquisizione di documenti in fotocopia, in quanto l'autorità di polizia deve poter ,accertare il vero responsabile e ciò sempre in relazione all'articolo 13 della legge 24 novembre 1981 n. 689, come detto innanzi. Nel caso costoro si dovessero opporre potrebbero cader nell'ipotesi di reato previsto dall'ar
E' vero che l'articolo 13 è di larga portata, ma è pur vero che va posto in relazione all'articolo 14 della costituzione, il quale prevede la tutela dell'incolumità pubblica che verrebbe lesa e turbata dall'eccessiva velocità.
La giurisprudenza, per giustificare e considerare dovute le indicazioni richieste dall'autorità di polizia, rivolta all'identificazione del conducente, (sì da configurare la fattispecie di cui all'articolo 650 dei codice penale in caso di rifiuto) ha ritenuto, in caso di inottemperanza, che l'ordine e l'attività della polizia giudiziaria è motivato da ragioni di giustizia e di pubblica sicurezza nel quadro di un'attività di prevenzione e di repressione di comportamenti illeciti, appunto, per la tutela dell'incolumità pubblica, come previsto dall'articolo 14 della costituzione.
Su questo punto, si può esaminare la sentenza della cassazione che tratta della inosservanza dei provvedimenti di polizia emessi per l'accertamento degli illeciti inerenti alla circolazione stradale (20).
Nel vecchio codice l'articolo 103, n. 11, prevedeva la sospensione della patente nel caso di tre infrazioni ai limiti di velocità nel corso di un quinquennio. Nella fattispecie dell'eccesso di velocità questa possibilità è stata depenalizzata. L'articolo 180, n. 8, dei nuovo codice stradale prevede una sanzione amministrativa pecuniaria a chiunque, senza giustificato motivo, non ottempera all'invito dell'autorità di presentarsi e di fornire le informazioni, i documenti e quant'altro richiesto. Tale norma abbraccerebbe tutti gli ordini impartiti per ottenere informazioni e notizie in ordine alla circolazione di un veicolo. E' stato depenalizzato da parte dal codice della strada per quanto attiene queste infrazioni e si può vedere da ultimo una sentenza della cassazione (21).
Non può dirsi che il diritto di difesa, di cui all'articolo 24 della costituzione, non riguardi allo stesso modo il diritto penale e quello amministrativo e cioè tutte le situazioni conflittuali che pongono al soggetto l'alternativa o di adempiere all'obbligo di una dichiarazione fedele, con ciò autodenunciandosi, o seguire l'impulso di salvezza. Non può non valere anche in diritto amministrativo il principio nemo sedetegere tenetur; lo dimostra il fatto che l'articolo 13, sempre della legge 24 novembre 1981 n. 689, non pone alcuna sanzione a chi non aderisca alla richiesta dei funzionari incaricati dell'accertamento di violazioni depenalizzate o, comunque, amministrativamente sanzionate (22).
Quanto sopra, porta alla conseguenza che nessuno possa testimoniare contro se stesso con la logica conseguenza che deve essere l'accusa a provare la contestazione dell'infrazione al conducente.
La riservatezza è un bene fondamentale garantito dalla costituzione all'articolo 14/15 e come tale vulnerabile solo da una norma primaria e non anche attraverso una elaborazione giurisprudenziale. Pertanto all'obbligo di denuncia e di collaborazione con la giustizia, non è ipotizzabile un dovere di informazione sull'identità del conducente.
Il dovere di informazione può scaturire dalla norma generale dell'articolo 8, secondo comma, della convenzione europea dei diritti dell'uomo, stipulata in data 4 novembre 1950 e resa esecutiva in data 4 agosto 1955, la quale, in tema di tutela della riservatezza, ammette l'ingerenza della pubblica autorità soltanto "nei limiti in cui tale ingerenza è prevista per legge e costituisca una misura che, in una società democratica è necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico e del paese, la difesa dell'ordine, la prevenzione delle infrazioni penali, la prevenzione della salute e della morale, la protezione dei diritti e della libertà altrui".
Si può quindi affermare che nell'ambito delle indagini previste dall'articolo 13 della legge del 24 novembre 1981 n. 689 non sussiste alcun obbligo di corrispondere le informazioni richieste dagli organi di indagine e il rifiuto di fornirle è del tutto legittimo.
Colui che si dichiara manifestamente reticente o semplicemente rifiuta le informazioni non è imputabile del reato di cui all'articolo 650 del codice penale, ora depenalizzato, mancando a monte il provvedimento legalmente dato dall'autorità inteso come atto legittimamente impositivo di una particolare condotta omissiva o commissiva.
Per quanto concerne l'incidenza della nuova norma prevista dall'articolo 180, n.8 cod. strad., dell'obbligo di informazione, l'illecito prospettato da tale norma è infatti l'inottemperanza della persona all'ordine di presentarsi agli organi di polizia si verifica una condotta puramente omissiva e inadempiente, mentre del tutto impregiudicato rimane il problema per quanto inerisce alle informazioni e le esibizioni di documenti una volta che l'interessato si è presentato. L'articolo 180 comma ottavo inerisce soltanto alla mancata presenza dell'individuo al comando di polizia;
E' questa la corretta interpretazione secondo cui l'invito a presentarsi presso gli uffici di polizia ricade sotto il codice della strada (art. 180 n. 8) mentre rilasciare informazioni circa la persona che ha commesso l'infrazione esula dall'ambito applicativo dell'articolo innanzi detto.
In ogni caso, comunque, vi è un aspetto particolare di questa norma: se l'individuo si presenta agli organi di polizia e rende le informazioni che vengono richieste occorre ricordare che vi è soggezione e responsabilità penale per i reati cui all'articolo 495 cod. pen. (false attestazioni o dichiarazioni a pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri, quindi di colui che avrebbe commesso l'infrazione).
9. L'impiego sempre più frequente degli autovelox ha determinato la nascita e la ci commercializzazione di apparecchi radioelettrici di intercettazione detti "autovelox detector". Possono operare da una distanza che va da duecento metri fino ad un chilometro, come misuratori a banda stretta, idonei a rilevare tramite un segnalatore acustico-visivo la presenza dell'autovelox. Si tratta di una segnalazione e non di un'interferenza nell'attività dell'autovelox o nelle conversazioni delle forze dell'ordine. Sulla possibile rilevanza della vendita e l'abuso di tali dispositivo è intervenuta una pronuncia della suprema corte che ha escluso la configurabilità di alcun reato (23).
In particolare si esclude: a) il delitto di cui all'articolo 414 cod. pen. "istigazione a delinquere" in quanto l'attività è diretta solo ad evitare una infrazione di ordine amministrativo: art. 142 cod. strad.; b) il delitto di cui all'articolo 415 del codice penale "istigazione a disobbedire alle leggi" in quanto le leggi concernenti la sicurezza stradale non possono rientrare fra quelle di ordine pubblico, oggetto della tutela di tale norma dell'articolo 415 del codice penale; c) il delitto di cui all'articolo, 615 bis del codice penale che concerne "le interferenze illecite nella vita privata" d)l'articolo 617 del codice penale che riguarda la cognizione e l'interruzione o l'impedimento delle sole comunicazioni o conversazioni telefoniche o telegrafiche;e) l'articolo 623 bis del codice penale vecchio testo che contemplava le interferenze in comunicazione o conversazioni effettuate con collegamento su filo ad autorità. La corte, nel ribadire l'inesistenza
I radar-detector non hanno alcuna attività di trasmissione poiché si limitano soltanto ad intercettare la frequenza e percepire passivamente il campo dell'autovelox in funzione, il quale potrebbe danneggiare l'automobilista che sta attraversando quel campo di raggi infrarossi.
Il singolo automobilista, con il proprio detector, determina una vanificazione del servizio ad personam, mentre resta dei tutto impregiudicata l'attività del servizio stesso che non patisce alcuna disfunzione intrinseca tale da causargli una patologica discontinuità.
10. Nell'ambito di una sempre più radicata solidarietà tra automobilisti, è consolidata l'abitudine di preavvisare, con segnalazione intermittente del dispositivo di illuminazione abbagliante, ai conducenti di veicoli che provengono dal senso inverso di marcia della presenza di misuratori di velocità e di pattuglie di polizia. Queste segnalazioni hanno lo scopo di porre in condizioni chi sta per sopraggiungere, di moderare la velocità entro il limite consentito o di allacciare le cinture di sicurezza e, quindi, passare dinanzi alla pattuglia con modalità inappuntabili.
Poiché i lampeggiamenti vengono di solito effettuati anche a distanza di svariate centinaia di metri rispetto alla pattuglia, quando ancora quest'ultima non è ancora avvistabile, vi è un ampio margine per correggersi nella guida o nel comportamento. In pratica gli automobilisti cercano di autotutelarsi per vanificare o ridurre la proficuità dell'attività di repressione e di prevenzione degli organi di polizia.
Alla luce di questa consuetudine, largamente acquisita, il nuovo codice della strada ha formulato una norma ad hoc per colpire l'uso distorto dei dispositivo di illuminazione. L'articolo 153, infatti dispone: "chiunque usa impropriamente i dispositivi di segnalazione luminosa è soggetto alla sanzione amministrativa nel pagamento di una somma".
La disposizione abbraccia un aspetto molto ampio di ipotesi ed è fuori discussione che l'atteggiamento dell'automobilista ha lo scopo principale di segnalare la presenza della polizia o degli autovelox. Naturalmente, dovendo rimanere nell'ambito della semplice infrazione stradale, che viene evitata, è possibile accettarlo ma molto spesso potrebbe portare a conseguenze gravi e cioè che queste segnalazioni permettano al latitante o a persona perseguita con mandato di cattura, di mettersi in regola e quindi sfuggire ad un possibile ed eventuale controllo da parte della polizia.
Il contravvenuto, nel caso in cui venga accertata ed elevata la contravvenzione da parte degli agenti a norma dell'articolo 153, undicesimo comma, può porre come motivazione l'avere usato il dispositivo per un convincimento erroneo e scusabile o di versare in una situazione precaria e dover comunicare ad un'altra macchina di stare nella propria mezzeria.
Naturalmente le contravvenzioni saranno opportunamente vagliate, in ordine alla loro verosimiglianza, per eventuali elementi di prova.
Non sembra, invece, che l'uso dei dispositivo di illuminazione come rappresentato, potrebbe sfociare in un rilievo di ordine penale, in particolare dei reati di cui all'articolo 340 (interruzione di un ufficio o un servizio pubblico, o di un servizio pubblica necessità).
La differenza fra i lampeggianti e i detector sta nel fatto che mentre l'automobilista che lampeggia cerca di dare un servizio a vantaggio degli utenti che incrocia e a cui rivolge la segnalazione, il possessore del detector opera solo a beneficio di se stesso.
Ritengo che il lampeggiamento, al fine di far evitare le infrazioni, sia una non trascurabile frattura fra il corpo dei cittadini, utenti della strada, e coloro che sulla strada operano in veste di autorità e tale infrazione, inevitabilmente, implica l'opportunità di analisi sul piano sociologico ed istituzionale, onde pervenire ad eventuali correttive sul piano normativo ed operativo.
11. L'articolo 142 comma secondo cod. strad. demanda agli enti proprietari della strada la facoltà di fissare limiti massimi e minimi di velocità rispetto ai limiti generali imposti dal comma primo dello stesso articolo.
La statuizione del limite di velocità è un provvedimento a carattere normativo e l'unica persona legittimata ad impugnare il limite è il convenuto, il quale, in giudizio di opposizione, può anche eccepire l'illegittimità del limite stesso e chiederne la disapplicazione.
Riteniamo che il sindacato sul limite può vertere unicamente sulla incompetenza di colui che lo ha posto, ad esempio: a) provvedimento adottato da un ente non proprietario della strada; b) sulla violazione di legge, omessa segnalazione del limite; c) eccesso di potere: ad esempio, fissazione di un limite cinquanta chilometri orari giustificato dalla presenza di un centro abitato in realtà inesistente o per ragioni di sicurezza e di concreta insussistenza.
Naturalmente in questo caso il pretore potrà condurre il suo apprezzamento di legittimità avvalendosi degli ampi poteri di cui all'articolo 689 "Ispezioni dei luoghi accertamento del caso".
12. Secondo l'articolo 142 cod. strad. è passibile della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a tre mesi chi supera di quaranta chilometri orari i limiti massimi di velocità.
La sanzione accessoria della sospensione della patente è disciplinata in generale dall'articolo 218 cod. strad. per il quale ogni volta che sia previsto, l'agente l'organo di polizia accertante la violazione, provvede al ritiro del documento facendone menzione nel verbale di contestazione.
Successivamente, entro cinque giorni, la patente, unitamente al verbale di contestazione, viene inviata al prefetto competente del luogo dove è avvenuta la violazione e questi dovrà emettere il provvedimento relativo di sospensione, in caso contrario bisognerà restituire la patente al titolare.
Alla mancata contestazione immediata, saranno sempre gli organi di polizia, una volta identificato il conducente, a provvedere alla notificazione nonché alla contestazione differita con contestuale ritiro
della patente per il quale essi soli sono competenti: ad esempio non si può procedere alla notificazione a mezzo posta.
Dobbiamo notare che a carico del trasgressore il quale viola il limite di velocità in termini minimi, non è presumibile un comportamento doloso ma soltanto colposo, negligente ed imprudente, mentre non pare sostenibile una palese violazione dichiarata, fatta in caso di superamento dei quaranta chilometri orari in quanto in questo caso il comportamento è sicuramente doloso.
Secondo il vecchio codice della strada all'articolo 91 la sospensione della patente da parte del Prefetto era una vera e propria misura amministrativa di natura cautelare, e senza carattere punitivo adottabile in relazione e nei particolari profili di pericolosità evidenziati dal conducente.
Ora, invece, stante la veste di sanzione accessoria, la sua applicazione non dovrebbe prescindere dall'erogazione della sanzione principale pecuniaria.
Secondo la disciplina vigente si possono effettuare due autonome gradazioni di pena, con la possibilità di confermare la sanzione principale: quella pecuniaria, successiva nel tempo a quella accessoria; ritiro della patente antecedente, anziché viceversa come dovrebbe essere.
* Pubblicato con la gentile autorizzazione dell'avv. Francesco Molfese - avvocato in Milano- nonché della Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti (anno 2000, n.3, pagg. 449-465).
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